Chi è questo oscuro personaggio la cui invenzione ha tanta parte nella vita degli italiani? Egli non ha, come meriterebbe, né piazze né strade a lui intestate, eppure nessuno di noi vuole nemmeno lontanamente immaginare quale capovolgimento delle nostre abitudini alimentari sarebbe se la pasta scomparisse dalla nostra tavola.
Ci ha provato una volta Marinetti con la sua cucina futurista, ma il fiasco della sua teoria fu sonoro. Favole e leggende hanno spesso accompagnato questo must della nostra cucina, alcune accreditate dalla firma di famosi scrittori, come quella autorevole di Matilde Serao che ci ha raccontato del mago che in uno scuro basso napoletano, mescola e rimescola in un calderone un intruglio colorato di rosso dall’inequivocabile profumo dei maccheroni al ragù. Leggenda, naturalmente, perché all’epoca dei maghi e delle streghe Cristoforo Colombo non aveva ancora fatto il suo avventuroso viaggio alla scoperta dell’America e dei suoi pomodori.
E c’è ancora chi ricorda l’avventuroso approdo di Enea sulle coste del Lazio, dove agli affamati e stanchi naviganti viene offerto un sontuoso apparecchio di carne arrostita su un piatto fatto di pasta, nel quale, immaginiamo, si sarà raccolto il saporito intingolo. Il figlioletto Julo guarda il padre che, finita la carne, addenta golosamente quello strano piatto e gli ricorda la profezia dell’Arpia Celeno, la quale gli aveva predetto che alla fine delle loro peregrinazioni, stanchi e affamati, si sarebbero divorati persino i piatti. E’ una delle prime documentazioni sulla nascita della nostra pizza nazionale?
La sciocchezza più grossa, e pertanto la più diffusa, ci racconta invece di Marco Polo che torna dalla Cina con un pacco di vermicelli cinesi nella borsa della spesa. Una lettura più attenta de Il Milione avrebbe spazzato via questa frottola. E intanto, sulle tavole veneziane, al ritorno di Marco Polo, la pasta si consumava da almeno due secoli. Poi ci sono gli storici seri a ricordare che già a Roma il poeta Orazio apprezzava le lagane con i ceci; e lagane è un termine transitato ancor oggi in un formato di pasta, che per noi è una tagliatella, ma non sappiamo quale formato avesse per la cuoca di Orazio.
Per arrivare alla pasta come noi la intendiamo oggi, bisogna fare un salto di qualche secolo, fino ad arrivare a quel settembre dell’A.D. 831, quando alcuni veloci sciabecchi musulmani accostarono la spiaggia in una baia verdeggiante punteggiata dal colore dorato delle arance selvatiche. Erano giunti in Sicilia, terra ricca di acque, dove ancor oggi si coltiva uno straordinario grano duro. Lì, qualcuno, locale o saraceno, si industriò a trasformare il cuscus in un corto spaghetto bucato, arrotolato intorno ad un duro stelo di paglia e qui lasciamo la parola al grande geografo arabo Al Idrisi che, nel 1154, nel suo Libro di Ruggero, summa di nozioni geografiche del tempo, redasse una carta topografia della regione, In Sicilia vi è un paese chiamato Trabia, luogo incantevole dotato di acque perenni e di mulini. In questo paese si fabbrica un cibo di farina a forma di fili in quantità tali da rifornire oltre i paesi della Calabria, quella dei territori musulmani e cristiani.